Le regole della fiducia
(Libri del tempo)
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Dalla comunicazione pubblica al linguaggio della vita quotidiana, la fiducia è tornata ad essere un punto di riferimento: si chiede, si coltiva, si revoca, costruisce e demolisce mondi, si da e si ha fiducia. Improvvisamente essa riemerge da teorie polverose e diventa la parola chiave di fronte alla crisi economica, alle difficoltà di governi e parlamenti, alla diffidenza di tutti i giorni nei confronti dei mercati. Eligio Resta ripercorre le tracce del concetto di 'fiducia' nel diritto nell'economia, nella filosofia. Con qualche inattesa sorpresa.
DETTAGLI DI «Le regole della fiducia»
Titolo Le regole della fiducia
Autore Resta Eligio
Editore
Laterza
EAN 9788842089933
Pagine V-113
Data 2009
Collana Libri del tempo
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COMMENTI DEI LETTORI A «Le regole della fiducia»
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Mauro Capozzi il 28 settembre 2010 alle 21:50 ha scritto:
Con “Le regole della fiducia”, Eligio Resta affronta un tema particolarmente significativo ed attuale: la fiducia, appunto, ed il suo rapporto con l’economia, con la filosofia e, in particolare, con il diritto e, quindi, con la societas. Eligio Resta identifica nella fiducia uno dei concetti chiave del nostro tempo, in contrapposizione al suo opposto, complice e rivale, che è la diffidenza. Oggi sentiamo parlare di “fiducia nei mercati”, della perdita e della ricomparsa della fiducia, della fiducia mal riposta, veniamo esortati ad avere fiducia. La fiducia, però, incorpora il rischio della delusione e, quando questa interviene, non c’è autoconsolazione che tenga. Si oscilla, quindi, tra fiducia e diffidenza, si tenta di valutare il rischio implicito nel dare fiducia, si giunge alla fiducia “calcolata” e, infine, a tradurre la fiducia nel linguaggio giuridico, che è quello della calcolabilità e della prevedibilità dei rischi. Da un lato, tuttavia, il rimedio offerto dal diritto quando la fiducia si indebolisce, tradisce il senso stesso della fiducia, dall’altro il diritto interviene solo quando la delusione della fiducia è diventata insopportabile, ossia quando la fiducia non è più tale. Con la sua incorporazione nel diritto, la sua giuridificazione, la fiducia subisce una metamorfosi, diventa dispositivo, criterio di orientamento interpretativo, principio generale del rapporto obbligatorio, ma smette di essere fiducia: diviene regola di “buona fede”, la quale costituisce la chiave di volta del rapporto obbligatorio, determina e giustifica la tutela giurisdizionale. Nella tradizione romanistica si afferma giustamente che la “buona fede” è regola di conformità ad un comportamento che assicuri a chi ha affidato ad altri una cosa (nasce dal deposito) di poterla riottenere. Tuttavia, richiamarla normativamente significa ribadirne l’assenza, ricordando quello che abbiamo dimenticato: non c’è bisogno di richiamare buona fede (di essere quindi virtuosi, agathòi), dove la buona fede venga agita e praticata. Dal momento che il rischio della fiducia è elevato, stipuliamo contratti che prendano il posto dello stringersi la mano e del fidarsi. Il contratto va eseguito secondo buona fede, va interpretato normativamente come agito normativamente da individui che reciprocamente investono nella fiducia. Così si sceglie il contratto per evitare la fiducia e si reintroduce l’incertezza connessa al vincolo della fiducia regolandola normativamente. Per il sistema, è preferibile generalizzare la fiducia nel vincolo, che è il simmetrico contrario della fiducia e, pertanto, sa di paradosso, che non la fiducia “tout court”.